Onboarding commerciale: come inserire e far crescere i nuovi venditori
L’inserimento dei venditori è una delle fasi più delicate di tutto il processo commerciale. Non basta trovare persone capaci: serve metterle nelle condizioni di lavorare bene, in fretta, con metodo. Questo significa avere un processo di onboarding commerciale serio, strutturato, pensato per far funzionare davvero la macchina delle vendite.
Eppure, nella maggior parte delle aziende, l’onboarding è lasciato all’improvvisazione, all’affiancamento “vecchia scuola”, o peggio: alle slide fatte per l’HR. Il risultato? Venditori confusi, messaggi incoerenti, performance basse e turnover altissimo.
Perché parlare di onboarding commerciale oggi
Il contesto è cambiato. Oggi trovare venditori bravi è difficile, trattenerli ancora di più. Le aziende non possono più permettersi mesi di attesa prima che un commerciale sia utile, né sprechi di tempo e budget su inserimenti che saltano al primo ostacolo.
In più, è cambiato anche il profilo delle persone che entrano nei team. La Generazione Z non cerca solo uno stipendio: cerca senso, struttura e strumenti. Si aspetta un onboarding che non sia solo “presentazione aziendale”, ma un percorso chiaro per capire come contribuire, imparare e crescere. E se non lo trova, se ne va.
Lo stesso vale per i profili più senior: senza un onboarding che li metta in grado di lavorare da subito, la frustrazione arriva in fretta.
In un mercato in cui le risorse sono scarse e la pressione sui risultati è altissima, un onboarding commerciale efficace non è un lusso: è un pezzo essenziale della strategia di vendita.
Cos’è davvero l’onboarding commerciale
Quando parliamo di onboarding commerciale, non parliamo di una manciata di giornate affiancate a un venditore senior, né di una cartella condivisa con materiali vecchi. Un vero onboarding è un processo: strutturato, pensato, replicabile.
Serve a trasferire ai nuovi venditori non solo il prodotto, ma il modo corretto di portarlo sul mercato. Significa spiegare la strategia, chiarire i ruoli, far capire chi è il cliente giusto, come si costruisce la pipeline, quali strumenti si usano, cosa ci si aspetta e quando.
È il momento in cui si mette nelle mani del nuovo commerciale un metodo operativo, un messaggio coerente e una struttura su cui appoggiarsi.
Fatto bene, l’onboarding riduce il tempo necessario per portare valore, migliora la qualità delle azioni commerciali e accelera l’integrazione nel team. Fatto male — o non fatto affatto — diventa un generatore automatico di errori, disallineamenti, abbandoni.
I problemi quando l’onboarding è improvvisato
Molte aziende dicono di avere un onboarding. Nella pratica, si traduce in un paio di riunioni, qualche slide generica, e l’affiancamento a un venditore storico “per vedere come si fa”. Il risultato è che i nuovi assunti vengono lasciati a decodificare un processo commerciale che nessuno ha davvero formalizzato.
Nessuna guida, solo abitudini
Senza playbook, senza procedure scritte, il venditore nuovo impara copiando. Ma cosa copia? Le abitudini, spesso consolidate ma mai validate. Se il CRM viene usato male, se i messaggi sono incoerenti, se le fasi di vendita sono gestite a istinto, è quello che imparerà. E poi lo ripeterà.
Formazione frammentata
I materiali ci sono, ma sono sparsi. Script in una cartella, template in un’altra, note in un Google Doc mai aggiornato. Nessuno ha pensato a un percorso logico. Così il venditore salta da un pezzo all’altro, con zero visione d’insieme.
Nessun messaggio chiaro
Ogni persona nel team dice qualcosa di diverso. Nessuno sa esattamente quale sia il messaggio da passare al cliente, quale tono usare, quali obiezioni sono davvero critiche. Questo genera insicurezza nel venditore e confusione nel cliente.
Affiancamento inefficace
L’affiancamento classico spesso si limita a “guarda come faccio”. Ma se chi affianca non ha una struttura, trasmette solo abitudini, errori e soluzioni personali. È inefficiente per chi insegna, frustrante per chi impara.
Come si costruisce un onboarding commerciale che funziona
Non esiste un solo modo di fare onboarding, ma esistono errori che si ripetono sempre — e soluzioni che funzionano in quasi ogni contesto. Un buon onboarding commerciale parte da tre presupposti: sapere dove si vuole arrivare, sapere cosa serve per arrivarci, e preparare il venditore per farlo in autonomia.
1. Spiegare il contesto, non solo l’azienda
Chi arriva deve capire l’azienda, certo. Ma anche il mercato, i clienti, la concorrenza. Deve sapere perché i clienti scelgono (o non scelgono) il prodotto, cosa temono, cosa vogliono. Senza questa cornice, ogni script è una formula vuota.
2. Mostrare come si vende, davvero
Non serve solo dire “usiamo il CRM” o “la pipeline ha 5 fasi”. Serve far vedere cosa succede dal primo contatto alla chiusura. Quando si scrive, quando si chiama, come si risponde a un’obiezione, come si qualifica un lead. E serve farlo con esempi reali, non con casi ideali.
3. Centralizzare tutto quello che serve
Ogni informazione utile dev’essere facile da trovare e da usare. Non si può pretendere che un venditore sia efficace se per trovare uno script deve cercare tra email vecchie o tra file non aggiornati. Tutto il materiale — pitch, email, template, demo — dev’essere organizzato e mantenuto vivo.
4. Programmare un percorso, non un’introduzione
L’onboarding non è una settimana. È un processo di almeno 3 mesi. Serve una roadmap: cosa succede a 7 giorni, a 30, a 60, a 90. Quando c’è il primo check, quando inizia a gestire call, quando si aspettano i primi risultati. Serve chiarezza, non fretta.
5. Affiancare con criterio
Il coaching non può essere lasciato al caso. Affiancare sì, ma con metodo: simulazioni, roleplay, feedback mirati. Non basta “ascolta me”, serve “prova tu, poi ragioniamo insieme”.
Il ruolo della tecnologia: supporto, non sostituto
La tecnologia può aiutare, ma solo se il processo è già stato pensato bene. Nessuna piattaforma risolve un problema di contenuti confusi o di metodo assente. Ma può fare la differenza quando si tratta di rendere il tutto più accessibile, ripetibile e scalabile.
Una buona piattaforma di sales enablement, o anche un sistema di knowledge management interno fatto bene, permette a ogni venditore di trovare le informazioni giuste al momento giusto: pitch, obiezioni, presentazioni, materiali aggiornati.
Strumenti più avanzati possono anche simulare trattative, guidare la preparazione di una call, suggerire risposte o automatizzare la creazione di contenuti. Ma sempre con un limite chiaro: devono essere strumenti nelle mani del team, non una scusa per evitare di spiegare come si vende.
L’onboarding commerciale non diventa efficace con un’app in più. Lo diventa quando ogni cosa — contenuti, fasi, obiettivi, strumenti — è pensata per far crescere una persona che entra oggi e deve contribuire domani.
Guida pratica: strutturare un onboarding commerciale in 30, 90, 120 giorni
Un buon onboarding non si improvvisa e non si conclude in una settimana. Serve una sequenza chiara, con obiettivi progressivi, visibilità sui risultati e supporto mirato. Il modello 30–90–120 giorni è una delle strutture più efficaci per accompagnare un venditore dall’inserimento all’autonomia operativa.
Giorni 0–30
Obiettivo: Far capire dove si è arrivati e con quali strumenti si lavora.
Cosa succede:
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Introduzione alla cultura aziendale e ai valori reali, non quelli scritti su una slide.
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Panoramica sul processo di vendita, dalla generazione del lead alla chiusura.
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Conoscenza dei clienti tipo, dei segmenti prioritari e delle offerte principali.
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Accesso guidato agli strumenti: CRM, piattaforme di supporto, materiali.
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Prime attività di ascolto e osservazione (demo, call, pipeline review).
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Feedback iniziale: comprensione, coinvolgimento, capacità di lettura del contesto.
Giorni 31–90
Obiettivo: Iniziare a produrre valore in modo supervisionato.
Cosa succede:
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Il venditore gestisce i primi contatti, affiancato o su segmenti meno critici.
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Si lavora su script, obiezioni, messaggi, con coaching mirato.
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Viene assegnata una piccola pipeline da costruire e gestire con supporto.
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Si monitora la qualità delle interazioni: preparazione, follow-up, coerenza.
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Il feedback diventa più operativo: cosa va, cosa no, cosa va rinforzato.
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Inizia la personalizzazione del metodo sul venditore, senza deviare dal modello.
Giorni 91–120
Obiettivo: Portare il venditore a lavorare con autonomia e coerenza.
Cosa succede:
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Il venditore è pienamente inserito nella pipeline e lavora su clienti prioritari.
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Partecipa a cicli completi: dalla qualificazione alla negoziazione.
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Gli viene chiesto di contribuire con idee e osservazioni: è parte del team.
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Il responsabile fa una valutazione completa delle performance e del potenziale.
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Eventuali lacune residue vengono affrontate con training o affiancamenti mirati.
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Se tutto funziona, l’onboarding finisce — ma l’enablement continua.
Fase | Obiettivo principale | Attività chiave | Tipo di feedback |
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0–30 giorni | Capire contesto, processi e strumenti | Introduzione aziendale, strumenti, osservazione, segmenti clienti | Comprensione, coinvolgimento |
31–90 giorni | Iniziare a operare con supporto | Prime interazioni, gestione pipeline, coaching su messaggi e obiezioni | Feedback operativo |
91–120 giorni | Lavorare in autonomia e contribuire | Pipeline completa, trattative, valutazione performance, osservazioni strategiche | Valutazione completa |
L’onboarding commerciale non è un momento, è un processo. E come ogni processo che funziona, va progettato, condiviso e mantenuto.
Un venditore inserito bene lavora meglio, prima e più a lungo. Non serve una piattaforma miracolosa o una quantità infinita di materiali: serve un metodo chiaro, strumenti accessibili e un team che sappia guidare.
Costruire un onboarding efficace vuol dire prendersi sul serio come azienda. Vuol dire dare ai nuovi venditori le stesse condizioni che vorremmo trovare noi se fossimo al loro posto. Vuol dire smettere di sperare che “si ambientino da soli”.
Se vuoi che la tua macchina commerciale funzioni davvero, inizia da lì.