Il paradosso della "Star": perché l'eccesso di informazioni rischia di bruciare i nuovi inizi
C'è una convinzione silenziosa che accompagna quasi ogni inserimento di alto livello o l'avvio di una partnership strategica: si tende a credere che l'esperienza pregressa sia un "passpartout" universale.
Più è alto il profilo del professionista (o il valore del contratto), più si dà per scontato che l'orientamento debba essere rapido, autonomo e indolore.
Eppure, i dati sulle dimissioni precoci o sui fallimenti nei primi 90 giorni suggeriscono una realtà diversa, quasi controintuitiva. Proprio le figure più senior sono quelle più vulnerabili al fallimento iniziale. Non per mancanza di competenze tecniche - quelle sono indiscusse - ma per una sorta di cecità contestuale.
Il divario tra le aspettative di impatto immediato e la non-conoscenza delle dinamiche interne crea una paralisi decisionale che spesso viene scambiata per inattività.
Forse, la strategia per evitare questo rigetto non è accelerare il trasferimento di conoscenze, ma rallentarlo. Praticare quello che potremmo definire "under-informing strategico".
La trappola della competenza (dove nasce l'errore)
Quando si accoglie una figura esperta, l'azienda commette spesso l'errore di scaricare addosso al nuovo arrivato l'intera complessità dello storico aziendale, dei report passati e delle procedure formali. Si pensa: "È un senior, saprà gestire la mole di lavoro".
Tuttavia, questo approccio ignora un limite cognitivo fondamentale:
- La paralisi da contesto: chi arriva non ha i filtri per distinguere ciò che è segnale da ciò che è rumore. Tutto sembra urgente, tutto sembra importante.
- L'isolamento: credendo di dover dimostrare subito il proprio valore, il professionista si chiude a studiare i documenti invece di costruire relazioni.
Il rischio reale non è che la persona non capisca il lavoro, ma che non capisca come il lavoro viene percepito e approvato in quella specifica cultura aziendale.
La strategia dell'Under-Informing (sottrazione informativa)
Invece di fornire un manuale operativo di 500 pagine, un onboarding efficace per profili senior dovrebbe probabilmente limitare l'accesso alle informazioni tecniche nelle prime settimane. Non per nascondere dati, ma per forzare la risorsa a concentrarsi sulle dinamiche umane.
Se si satura la mente con i "dettagli del prodotto", non resta spazio per decodificare i "dettagli delle persone". E in fase di transizione, le persone sono quasi sempre l'ostacolo (o l'acceleratore) principale.
I due assi portanti dell'inserimento (cosa conta davvero)
Per proteggere l'investimento fatto su una nuova risorsa, le priorità delle prime 4 settimane dovrebbero spostarsi dal sapere tecnico al sapere politico. La struttura ideale si regge su due pilastri:
La mappa del potere informale (the who)
L'organigramma ufficiale raramente racconta la verità su come si prendono le decisioni.
Un onboarding di successo guida il nuovo arrivato a identificare non i "capi", ma gli "influencer" interni: chi ha potere di veto non scritto? A c hi è meglio rivolgersi prima di proporre una modifica?
Senza questa mappa, la "Star" proporrà soluzioni tecnicamente perfette ma politicamente invendibili, bruciandosi la credibilità al primo meeting.
La "Quick Win" (Il primo risultato utile)
C'è spesso la tentazione di chiedere al nuovo arrivato un piano strategico a lungo termine immediato. È una richiesta rischiosa.
Meglio definire un singolo, circoscritto problema da risolvere in 30 giorni.
Questo serve a generare "capitale politico": risolvere un piccolo problema noto dimostra utilità e crea fiducia, comprando il tempo necessario per capire le questioni più grandi.
Esempio pratico (dalla teoria alla realtà)
Immaginiamo l'ingresso di un nuovo Direttore commerciale o di un'agenzia esterna strategica.
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L'approccio errato (over-informing): "Ecco l'accesso al CRM con lo storico degli ultimi 5 anni e il budget dell'anno prossimo. Dicci come ristrutturare la rete vendita entro fine mese." (risultato: analisi teorica scollegata dalla realtà, resistenza della rete vendita, frustrazione).
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L'approccio Otomo (under-informing guidato): "Per questo primo mese, ignora i target annuali. Abbiamo un problema specifico di comunicazione tra il marketing e l'area nord-est. Parla con queste 3 persone chiave, capisci dove si blocca il flusso e prova a sbloccare solo questo aspetto." (risultato: focus chiaro, apprendimento delle dinamiche tra reparti, prima vittoria tangibile).
Il test della direzione (come misurare se funziona)
Come si capisce se l'onboarding sta funzionando? Non dalla velocità di esecuzione, ma dalla qualità delle domande.
Se l'inserimento è stato guidato per sottrazione, le domande del professionista cambieranno natura:
- Fase iniziale sbagliata: "Qual è la procedura per X?" (domanda operativa/burocratica -> Segno di annegamento nei dettagli).
- Fase iniziale corretta: "Chi devo convincere per far passare X?" (domanda strategica/politica -> Segno di comprensione del sistema).
L'efficacia di un inserimento, quindi, forse non andrebbe misurata col cronometro, per capire quanto velocemente la persona inizia a produrre, ma con la bussola.
Prima di immergersi nei dettagli tecnici, che restano ovviamente necessari, serve aver chiaro il paesaggio umano. La competenza, senza la giusta rete di alleanze interne, rischia di essere un motore potente che gira a vuoto.
